giovedì 21 ottobre 2010

Elettrostimolazione in riabilitazione


Elettrostimolazione come strumento di lavoro nella rieducazione post traumatica e nelmantenimento d’una condizione funzionale ottimale nell’atleta.

Qualsiasi infortunio che interessi il comparto osteo – muscolare - legamentoso e che preveda un periodo piùo meno lungo di inattività,provoca una perdita di efficienza funzionale (in caso di stop di qualche giorno)associata a perdita di massa muscolare, tonicità ecc. (in caso di stop prolungato).Per quanto concerne il ricondizionamento funzionale dell’ apparato locomotore occorre intervenire con lasomministrazione d’esercizi mirati a stimolare il sistema neuromuscolare; di solito è mia abitudine praticaremanovre di PFN che sono in grado di produrre un importante bombardamento di stimoli al SNC e diriattivare nel minor tempo possibile il maggior numero di placche motorie.Nello stesso tempo ritengo di fondamentale importanza arrestare il processo d’atrofia e perdita di tono cheviene ad instaurarsi entro breve tempo dall’evento traumatico mediante l’utilizzo dell’ elettrostimolazione
; questo mezzo mi permette di stimolare la muscolatura interessata al trauma mediante contrazioniisometriche in posizioni non dolorose già dalla prima seduta di fisioterapia; durante il periodo di rieducazionevengono di solito modificate le posture di lavoro con incremento dell’impegno sia delle strutture osteolegamentose, sia della massa muscolare.Nella mia attività in ambito sportivo professionistico, ma non solo, utilizzo, nei casi ove non vi sianoparticolari controindicazioni, esclusivamente il mezzo dell’elettrostimolazione per espletare la parte dedicataalla muscolazione; ritengo, infatti, si possa svolgere un tipo di lavoro più specifico e qualitativamente piùredditizio sulle fibre muscolari rispetto a quello svolto esclusivamente con l’attrezzatura da palestra chepreferisco inserire solo in una fase più avanzata del recupero, quando la percentuale di rischiod’infiammazioni da sovraccarico di lavoro si riduce notevolmente.E’importante porre l’accento sul fatto che il lavoro muscolare svolto con il mezzo dell’elettrostimolazionedeve in ogni caso essere associato il più presto possibile ad esercizi in palestra e sul campo che abbiano lafinalità di trasformare l’incremento di forza (sia essa forza veloce-resistente, forza esplosiva ecc.…)considerato “ statico “ in incremento di potenza quindi “dinamico”.Elettrostimolazionein riabilitazione post traumaticaPer ciò che concerne, invece, la gestione quotidiana di un atleta professionista, ritengo che l’elettrostimolazione sia di valido aiuto quando il mantenimento di una condizione ottimale significa ilmantenimento di un livello di forza ottimale, cioè in tutti quei comparti articolari sottoposti ad un tale stressdurante la competizione da richiedere una performance superiore alla media.Dal momento che la mia esperienza professionale è incentrata su calciatori ritengo di poter fornire un validocontributo soprattutto per quel che concerne l’articolazione del ginocchio e della caviglia suggerendo unoschema di lavoro che preveda almeno due sedute settimanali di elettrostimolazione cercando di coinvolgereanche il sistema propriocettivo mediante l’uso di tavolette prima della stimolazione elettrica, ma anchedurante la stimolazione stessa (utilissimo il joistic) e dopo.Ritengo doveroso professionalmente ed estremamente vantaggioso per l’atleta chiarire che il sopracitatolavoro, soprattutto se somministrato al quadricipite, deve essere concordato e studiato con il preparatoreatletico in quanto un eccessivo carico su quel muscolo così importante può interferire con i programmid’allenamento prestabiliti nell’arco dell’annata agonistica dal preparatore stesso.

Autore: Dr. Fabio CONTA

OSteopata D. O. - Fisioterapista
Studio Ceder
Via Pammatone 5, Genova
Tel. 010.8608850

lunedì 18 ottobre 2010

Lo Sport

Nei tempi passati,quando il lavoro sedentario era praticato da una piccola minoranza di persone, era risaputo che il movimento e l'uso della propria forza fisica potessero mantenere l'uomo in buona salute.
Ora che è stato dimostrato scientificamente che lo sport in generale è foriero di stato di benessere sia psichico che fisico, non possiamo più ignorare la mancanza di attività motoria che caratterizza il nostro tempo.
La costanza di tenere impegnato il nostro corpo ci permette infatti di contrastare patologie quali il diabete, l'ipertensione, l'osteoporosi ed anche il cancro del colon.
Sappiamo tutti perciò che la nostra salute dipende in massima parte dall'impegno e dal tempo che siamo disposti a dedicare alla pratica di qualche piccolo sport. I dati statistici ci dicono però che la maggior pare delle persone è restia a mettere in pratica gli inviti e le raccomandazioni della classe medica e sanitaria, soprattutto gli anziani. Infatti, la solita camminata lenta non è un'attività aerobica e non produce benefici come può fare la corsa che, bruciando calorie, può far perdere peso, aumenta il colesterolo buono e la massa muscolare, compreso il cuore, che viene meglio capillarizzato. Anche il ciclismo ed il nuoto procurano forma e stato di benessere fisico e mentale.

QUALE ATTIVITA’ SPORTIVA ?

La ricerca per selezionare le attività sportive che più si prestano allo scopo ha identificato come migliori quelle di tipo aerobico. Il termine aerobico si riferisce al tipo di sforzo cui sottoponiamo il nostro organismo: è aerobico un esercizio muscolare di bassa o di media intensità praticato per tempi lunghi. Quello della corsa è lo sport che più si avvicina all’attività aerobica ideale.
Correre per alcuni chilometri riuscendo a chiacchierare con chi ci accompagna, lunghe passeggiate nei boschi, sono l’esempio più tipico. Lo sforzo aerobico brucia più calorie permettendo così di mantenere più facilmente il peso forma, esso migliora inoltre l’apparato cardiocircolatorio, rendendolo più forte e più resistente.
Tra tutti gli apparati il cardiocircolatorio è quello fondamentale per permetterci di condurre una vita sana e attiva. Nell'elenco che segue proponiamo alcune indicazioni, valide per tutte le età e per tutte le tipologie di persone, da utilizzare come comportamenti corretti per iniziare proficuamente e per continuare una attività sportiva sana e benefica come la corsa.
• E’importante, una volta iniziato l'allenamento, cercare di portare avanti le sessioni per tutto l'anno.
• Va tenuto presente che interrompere per più di 15 giorni l’attività contribuisce a provocare un importante scadimento della forma sportiva.
• Se è possibile e utile praticare svariate forme di attività fisica. Ad esempio la corsa, il nuoto, il ciclismo, cercando di alternare. Questo favorisce l'utilizzo di svariati gruppi muscolari e tiene lontano la noia.
• Una visita medica è sempre opportuna prima di iniziare o di ricominciare un’attività sportiva.
• E’ indispensabile programmare l’utilizzo delle proprie risorse fisiche. L'ideale sarebbe seguire una tabella che portasse ad incrementare lo sforzo in maniera graduale
• Va curata la alimentazione prima, durante e dopo la corsa. E’ opportuno seguire sempre una dieta, nel senso di cercare di mangiare in modo corretto, utilizzando alimenti di buona qualità ed evitare di aumentare troppo di peso. Introdurre una buona quantità di zuccheri complessi (pane, pasta, riso, patate), limitare i grassi animali, non eccedere nelle proteine, consumare frutta e verdura fresche in quantità.
• Ricordarsi di bere molta acqua durante e dopo lo sforzo
• Non trascurare mai gli infortuni, anche quelli apparentemente lievi. Non praticare attività sportiva se infortunati. Se un movimento articolare o muscolare provoca dolore che non scompare in breve tempo durante l’esercizio bisogna ricorrere ai consigli del medico.

LOMBALGIA DA SPORT

Veniamo ora a parlare di ciò che si intende per lombalgia comune. Si tratta essenzialmente di un dolore nella zona lombo sacrale della colonna vertebrale. Molto spesso la risonanza magnetica prescritta dallo specialista mette in evidenza segni di usura come artrosi, discopatia, protrusioni discali, leggere scoliosi o trascurabili atipie.
La lombalgia si caratterizza per l'assenza di patologie radicolari spinali, presenti in altre forme di mal di schiena come la sciatalgia o la cruralgia. Il dolore tipico della lombalgia può essere dovuto ad alterazioni della fascia, dei muscoli, dei ligamenti, del periostio, delle articolazioni, del disco o delle strutture epidurali.
Che un po' di moto giovi alla salute della schiena è opinione piuttosto diffusa sia tra i medici che tra i pazienti. Troppa attività fisica potrebbe rivelarsi pericolosa. In particolare il lavoro fisico può esacerbare problematiche strutturali silenti che, se sollecitate con troppa intensità, reagiscono causando notevoli fastidi.
Esiste dunque un'associazione diretta tra carico fisico occupazionale (abitudini lavorative) e mal di schiena
Dunque la continua ripetizione di gesti svolti nelle attività quotidiane può causare disfunzioni che a lungo andare conducono alla lombalgia. Per proteggersi dal mal di schiena ed allontanare tale evenienza è bene svolgere con regolarità un po' di esercizio fisico.
L'attività sportiva mirata alla cura della lombalgia dovrebbe portare ad allungare le strutture muscolari coinvolte ed anche a rinforzarle. In associazione a ciò, di solito viene consigliato il controllo del peso corporeo. Prestate molta attenzione al mantenimento della corretta postura durante i vari esercizi Allungate i muscoli degli arti inferiori che contribuiscono alla comparsa del dolore alla bassa schiena:
Ischiocrurali (semitendinoso, semimembranoso, bicipite femorale)
Flessori dell'anca,
Erettori spinali
Rinforzate i muscoli, la cui debolezza contribuisce alla comparsa del dolore alla bassa schiena:
Muscoli addominali
Muscoli obliqui
Muscoli lombari
Muscoli ischiocrurali
Evitate gli esercizi che comportano notevoli pressioni a livello dei dischi intervertebrali.

TERAPIE RABILITATIVE PER GLI INFORTUNI PIU' COMUNI
ELETTROSTIMOLAZIONE
L’ELETTROSTIMOLAZIONE COME STRUMENTO DI LAVORO NELLA RIEDUCAZIONE POST TRAUMATICA E NEL MANTENIMENTO D’UNA CONDIZIONE FUNZIONALE OTTIMALE NELL’ATLETA
Qualsiasi infortunio che interessi il comparto osteo –muscolare- legamentoso e che preveda un periodo più o meno lungo di inattività,provoca una perdita di efficienza funzionale (in caso di stop di qualche giorno)associata a perdita di massa muscolare ,tonicità ecc.(in caso di stop prolungato).
Per quanto concerne il ricondizionamento funzionale dell’apparato locomotore occorre intervenire con la somministrazione d’esercizi mirati a stimolare il sistema neuromuscolare; di solito è mia abitudine praticare manovre di PFN ( particolare tecnica manuale)che sono in grado di produrre un importante bombardamento di stimoli al SNC e di riattivare nel minor tempo possibile il maggior numero di placche motorie.
Nello stesso tempo ritengo di fondamentale importanza arrestare il processo d’atrofia e perdita di tono che viene ad instaurarsi entro breve tempo dall’evento traumatico mediante l’utilizzo dell’elettrostimolazione ;questo mezzo mi permette di stimolare la muscolatura interessata al trauma mediante contrazioni isometriche in posizioni non dolorose già dalla prima seduta di fisioterapia; durante il periodo di rieducazione vengono di solito modificate le posture di lavoro con incremento dell’impegno sia delle strutture osteo legamentose, sia della massa muscolare.
Nella mia attività in ambito sportivo professionistico, ma non solo, utilizzo, nei casi ove non vi siano particolari controindicazioni, esclusivamente il mezzo dell’elettrostimolazione per espletare la parte dedicata alla muscolazione; ritengo, infatti, si possa svolgere un tipo di lavoro più specifico e qualitativamente più redditizio sulle fibre muscolari rispetto a quello svolto esclusivamente con l’attrezzatura da palestra che preferisco inserire solo in una fase più avanzata del recupero, quando la percentuale di rischio d’infiammazioni da sovraccarico di lavoro si riduce notevolmente.
E’importante porre l’accento sul fatto che il lavoro muscolare svolto con il mezzo dell’elettrostimolazione deve in ogni caso essere associato il più presto possibile ad esercizi in palestra che abbiano la finalità di trasformare l’incremento di forza (sia essa forza veloce-resistente, forza esplosiva ecc. …) considerato “ statico “ in incremento di potenza quindi “dinamico”.
Suggerisco uno schema di lavoro che preveda almeno due sedute settimanali di elettrostimolazione cercando di coinvolgere anche il sistema propriocettivo mediante l’uso di tavolette prima della stimolazione elettrica, ma anche durante la stimolazione stessa e dopo.

DISTORSIONI

La distorsione è senza dubbio il fattore di maggior rischio che incontra chiunque voglia praticare dello sport, in particolare volley, basket, calcio.
Infatti, il giocatore è costretto a compiere continuamente salti, scatti, cambi di direzione improvvisi, gesti già di per se stessi stressanti.
Le zone del corpo più a rischio sono le ginocchia e le caviglie, in quanto rappresentano le articolazioni maggiormente interessate nel ritorno a terra dopo un balzo e quindi soggette a distorsioni più o meno gravi. Per evitare di trascorrere molto tempo ai box condizionati da infortuni vari e spiacevoli, vi consiglio di seguire pochi semplici accorgimenti:
• Effettuate un breve riscaldamento muscolare che comprenda qualche minuto di stretching ai muscoli delle gambe e della schiena.
• Provate a rimanere in equilibrio su di una gamba per 30 secondi 3 o 4 volte per arto in modo da “risvegliare i meccanismi fisiologici di protezione delle articolazioni(fa la differenza fidatevi di me!).
• Eseguite 3 serie da 5 balzi a piedi uniti
• Solo ora potrete iniziare un breve riscaldamento con la palla che vi porti in pochi minuti al massimo dell’efficienza e quindi al minimo di rischio infortunio.
Se, al contrario,avete deciso di non seguire i miei consigli oppure,molto più verosimilmente, non siete molto fortunati ed incappate in una distorsione di ginocchio o caviglia,ecco alcuni consigli per un rapido pronto soccorso:
• applicate immediatamente la borsa del ghiaccio e continuare le applicazioni con molta frequenza nelle 48 ore successive.
• se possibile,state a riposo con la gamba tesa e sollevata rispetto al piano del bacino.
• praticate il più presto possibile un bendaggio compressivo per favorire l’immediato drenaggio dell’edema che si formerà sicuramente.
• dopo 48 ore rivolgersi ad un professionista per le cure del caso.

EPICONDILITE ED EPITROCLEITE (TENNIS ELBOW)

Il tennis elbow è la patologia più frequente e nello stesso tempo la più invalidante fra quelle che possono colpire le persone che praticano questo sport, siano esse assidue giocatrici o amatori della domenica.
Si tratta di un'infiammazione che interessa le inserzioni prossimali dei muscoli dell’avambraccio,detti epitrocleari ed epicondiloidei a seconda che vadano ad inserirsi nella parte interna o esterna dell’omero che con il radio e l’ulna compone l’articolazione del gomito. Il dolore insorge dapprima in maniera acuta limitando fortemente i gesti tecnici,poi tende a cronicizzarsi nella vita di tutti i giorni, per ripresentarsi, fastidiosissimo ,al primo tentativo di gioco.
Se è interessata la parte laterale dell’avambraccio, i colpi più dolorosi da eseguire sono il rovescio e la volèe di rovescio; al contrario,se è interessata la parte interna, i colpi quasi impossibili sono smash, volèe di dritto e servizio. Le motivazioni che stanno all’origine dell’insorgenza di tale patologia sono svariate, ma posso tranquillamente affermare che vi siano fattori strutturali predisponenti,prime fra tutti le alterazioni del naturale allineamento articolare del gomito e del polso.
Queste patologie funzionali,dovute a numerosi microtraumi che sono comuni a tutti noi, portano l’avambraccio a muoversi in maniera scorretta e quindi a sovraccaricare le strutture muscolo-tendinee soprattutto in condizioni di particolare stress.
La terapia si basa su due tipi d'intervento, l’uno prettamente fisioterapico, l’altro di carattere tecnico. Innanzi tutto occorre praticare una normalizzazione articolare per cancellare eventuali problemi funzionali, spesso causa primaria di tutto il quadro patologico; dopodiché si passa alla somministrazione di terapie fisiche (laser, correnti) ed a particolari massaggi profondi con lo scopo di ottenere un effetto antalgico ed antinfiammatorio in breve tempo.
Non bisogna inoltre trascurare i seguenti fattori:
• Allenate i muscoli dell’avambraccio il cui scarso trofismo e tono è spesso causa di tendinite,soprattutto se giocate a tennis saltuariamente.
• Sospendete l’attività al primo serio sintomo e rivolgetevi ad un professionista di vostra fiducia. Quindi niente fasciature o gomitiere consigliate dall’amico senza un'analisi accurata del Vostro problema.
• Prestate la massima attenzione al tipo di racchetta con la quale giocate. Di solito consiglio di adottarne una in grado di assorbire le vibrazioni,quindi non molto rigida e preferibilmente ad una tensione non superiore ai 22kg.
• Evitate le impugnature troppo grosse che impediscono una presa sicura ed una giusta distribuzione delle forze.

LA PUBALGIA

Il dolore inguinale in persone che praticano sport presenta un difficile inquadramento clinico per le molteplici cause che ne possono essere responsabili.
La forma più conosciuta legata al sovraccarico sportivo è denominata “sindrome retto-pubo adduttoria” perché interessa l’inserzione dei muscoli addominali e dei muscoli adduttori sul pube; tale problematica può presentarsi in maniera acuta con uno stiramento o, più frequentemente, in maniera cronica.
Le teorie più accreditate nello spiegare la sindrome pubalgica parlano di problemi riguardanti disfunzioni funzionali osteoarticolari; di squilibri muscolari associati a retrazioni dei flessori della coscia; di sovraccarichi in alcune strutture della colonna come la zona dorso-lombare.
In linea generale è previsto sia un trattamento di normalizzazione osteoarticolare che un programma di esercizi funzionali specifici.
Di seguito un piccolo programma di esercizi che si possono svolgere in palestra con la supervisione di un fisioterapista;
Riscaldamento generale
Allungamenti specifici
Esercizi muscolari funzionali ed esercizi tecnici specifici:
• Allungamento posturale per la catena posteriore
• Estensione dell’anca
• Flessione dell’anca
• Esercizio per gli adduttori
• Stretching dell’ileopsoas
• Stretching degli adduttori
• Esercizio per gli abduttori
• Esercizio per i glutei
• Esercizio per addominali
• Esercizio per addominali

LA SPALLA SINDROME DA CONFLITTO (IMPINGEMENT SINDROME)

Una delle più frequenti patologie che colpiscono la spalla degli atleti professionisti e non è la sindrome da conflitto o Impingement Sindrome la quale affligge prevalentemente persone che praticano discipline che prevedano l’uso intenso o ripetitivo dell’arto superiore: lotta, ginnastica, pesi, nuoto, canottaggio, tennis.
Si tratta, in poche parole di una lesione inserzionale della cuffia dei rotatori che ha il delicato compito di realizzare il fulcro di rotazione della spalla e di mantenere quindi perfettamente funzionante il ritmo scapolo omerale.
La risultante di tale patologia è un dolore sulla parte laterale del braccio (sulla porzione anteriore del muscolo deltoide) che può avere varie intensità a secondo stadio di lesione o sofferenza tendinea.

SINTOMI

Nella maggioranza dei casi colpisce persone dai 25 ai 40 anni d'età ed è caratterizzata, come già affermato, dalla presenza di un dolore intenso e persistente non ben localizzato nella porzione antero-laterale del braccio.
Frequentemente si assiste ad una progressione di sintomi:
• Dolore in forma ridotta dopo l’attività fisica
• Dolore in forma più intensa durante l’attività fisica che può portare ad interruzione immediata della stessa
• Dolore intenso e persistente anche durante le attività quotidiane
• Dolore permanente anche notturno

DIAGNOSI

La diagnosi spetta al medico specialista e viene stilata a seguito di accertamenti che possono andare dai semplici raggi, alla ecografia, fino ad una risonanza magnetica a seconda delle esigenze del caso.
Tengo a precisare che, una volta accertata l’esistenza di tale patologia,sarebbe molto utile al vostro fisioterapista se vi sottoponeste ad un esame dinamometrico che altro non serve se non ad accertare le condizioni di equilibrio muscolare della vostra spalla e stabilire con esattezza quali muscoli trattare, con che intensità e con quali parametri di riferimento.

TERAPIA

Comunque sia, il primo approccio a questa patologia deve essere prettamente fisioterapico per riuscire ad eliminare il dolore che di solito, oltre ad essere il motivo del consulto da parte del paziente, impedisce l’esecuzione di esercizi specifici che vadano ad agire sulla causa di tale disagio.
Si procede quindi con l’effettuare applicazioni di ultrasuoni, correnti antalgiche e se il caso lo richiede di laser fino ad una sensibile attenuazione dei sintomi; in seguito si possono svolgere esercizi sui muscoli extrarotatori la cui ipotrofia ed ipotonia è sovente la causa scatenante dell’intero quadro clinico. Infatti si presta sempre molta attenzione al muscolo deltoide esercitandolo con tutti i movimenti possibili e nella maggior parte dei casi ci si dimentica dei rotatori che con il passare del tempo risulteranno sempre più deboli e potranno essere all’origine di molti fastidi.
Consiglio quindi l’effettuazione dei seguenti esercizi svolti a casa o in palestra con l’ausilio di un manubrio, un elastico o di una ercolina:
1) In posizione verticale flettete il gomito a 90° e mantenetelo a contatto del vostro fianco per evitare di azionare il deltoide mentre effettuerete l’esercizio. A questo punto impugnate l’elastico o ercolina e , facendo del gomito stesso il punto fermo di rotazione sul tronco, effettuate un movimento ad allontanare il vostro braccio dalla linea mediana del corpo fino a dove vi è possibile, mantenete tale posizione per almeno 8 secondi e poi tornate lentamente alla posizione di partenza. Per quanto riguarda il carico di lavoro, deve essere il massimo possibile senza causare dolore né deviazioni di traiettoria; uno schema di lavoro potrebbe essere 8 serie di 6 ripetizioni con 3/5 secondirecupero tra le singole ripetizioni e 60secondi circa di recupero fra le serie.
2) Ripetete lo stesso esercizio sdraiati sul fianco sano utilizzando un piccolo manubrio.
3) In posizione verticale mantenete il braccio lungo il tronco, afferrate un manubrio e ruotate tutto il braccio(non solo l’avambraccio) verso l’interno, questo punto effettuate un movimento di apertura di 90°verso il vostro orecchio (non è una apertura in avanti , ma laterale); il carico segue gli stessi criteri del precedente.
4) In posizione verticale allargate le braccia in modo che si trovino parallele al pavimento con i palmi delle mani rivolti verso l’alto, flettete il gomito a 90°, infrapponete un pallone da basket fra la parte posteriore del braccio ed il tronco e cercate di comprimerlo. Eseguire 6 secondi di contrazione, 15 secondi di recupero per 10 ripetizioni; ripetete la serie 3 volte con 3 minuti di recupero fra le serie.
5) Consiglio di inserire anche qualche esercizio, purchè non provochi dolore, per il bicipite omerale con l’unica accortezza di far trascorrere 2/3 secondi fra una completa flessoestensione e l’altra in modo da non caricare il tendine con una eccessiva tensione. Ritengo che la frequenza di tali esercizi debba essere di tre volte alla settimana per almeno 50/60 giorni prima di procedere ad un nuovo consulto.

Autore: Dr. Fabio CONTA

OSteopata D. O. - Fisioterapista
Studio Ceder
Via Pammatone 5, Genova
Tel. 010.8608850

giovedì 14 ottobre 2010

La Sindrome dolorosa cervicale


La presenza di sintomatologia dolorosa a livello del tratto cervicale del rachide suscita particolare interesse per svariati motivi. Essa si manifesta , con notevole frequenza, nei soggetti adulti ed in qualsiasi età, molteplici sono, di volta in volta, le cause responsabili con manifestazioni cliniche pressochè simili, per cui riesce arduo, talora, individuare l’agente etiologico.
C’è da dire che le manifestazioni cliniche sono da mettere in relazione alla complessità delle strutture anatomiche del rachide cervicale. Quest’ultimo, tra l’altro, essendo dotato, come il rachide lombare, di notevole motilità, a differenza del tratto dorsale, è sottoposto a sollecitazioni meccaniche che interessano le varie strutture osteo articolari, muscolari, nervose e vascolari.
Gli agenti etiologici, che si osservano con maggiore frequenza sono:
Traumatismi: si tratta, in genere, di distorsioni del rachide cervicale, che si verificano in occasione di incidenti stradali, sportivi (tuffi) nell’ambito del lavoro, etc.
Particolarmente frequenti i “colpi di frusta”, dovuti ad incidenti automobilistici (tamponamenti), con dislocazione brusca, e, talora, violenta, in senso antero-posteriore, a livello delle faccette articolari, oppure, in altri casi, a movimenti incoordinati di rotazione.
Processi infiammatori: trattasi di flogosi cronica delle strutture legamentose e muscolari, spesso ad impronta reumatica (tipico esempio è il morbo di Becterew)
Difetti di postura: atteggiamenti coatti in iperestensione oppure iperflessione del rachide cervicale, associati spesso ad inclinazione laterale e rotazione, durante l’attività lavorativa (uso continuo del computer e del cellulare) Deviazioni assiali e torsionali: in presenza di cifosi e/o scoliosi, con lesioni disco articolari.
Processi degenerativi: la nucodiscoartrosi rappresenta la causa più frequente e, talora, anche invalidante; essa ha un’evoluzione cronica. Le lesioni anatomo patologiche risiedono a livello delle strutture articolari, nonché dei dischi intersomatici, ed in particolare, in corrispondenza dell’anulus fibrosus e del ligamento longitudinale posteriore (strutture riccamente innervate).
Ernia del disco: sostenuta dalla protusione postero-laterale del nucleo polposo, secondaria alla fissurazione dell’anulus fibrosus e compressione della radice nervosa. Neuropatie rientra nei deficit neurologici di varia eziologia. Di frequente riscontro la mielopatia spondiloartrosica.
Neoplasie, per la presenza di processi osteolitici somatici e somato-arcali e lesioni delle contigue strutture nervose.
Le manifestazioni cliniche
Si tratta di una sindrome rappresentata da dolore, contrattura muscolare, di difesa. Il dolore sarà continuo oppure intermittente, talora sordo, altre volte urente. Se sono interessate le radici nervose, il dolore può irradiarsi, per cui si avrà la cervicocefalalgia o la brachialgia mono o bilaterale, con parestesie e limitazione funzionale sia del rachide cervicale che degli arti superiori. Possono, altresì, verificarsi precordialgie, nel corso di una cervicobrachialgia. Può associarsi cefalea occipitale con sindrome vertiginosa, ipoacusia, turbe della deglutizione, etc. (lesione irritativa ischemica dell’arteria vertebrale). Nel corso dell’evolutività la sindrome irritativa può regredire oppure trasformarsi in una compressione, con deficit motorio. Coesistono modificazioni dei riflessi osteotendinei, nonché turbe della sensibilità.
Considerazioni conclusive
In una fase iniziale riesce poco agevole individuare l’agente etiologico. La terapia farmacologica, fisica ed ortopedica incruenta può risultare efficace, anche se, a distanza di tempo si può verificare la ricomparsa della sindrome dolorosa. Se, viceversa persiste e talora, si accentuano i vari disturbi subiettivi, alla luce delle indagini strumentali (T.C, R.M.N, etc…) Si dovrà ricorrere ad un intervento chirurgico particolarmente indicato in presenza di una sindrome compressiva. (tipo ernia del disco) Ovviamente dopo una serena valutazione di diagnostica differenziale, un accurato esame clinico dovrà essere sempre prioritario e “mai” trascurato indipendentemente dai referti di particolari indagini strumentali.

lunedì 11 ottobre 2010

Diete dimagranti: ATTENZIONE al “fai da te”

Con la fine della bella stagione iniziano anche le preoccupazioni per quanto riguarda la propria forma fisica. E’ per questo motivo che come ogni anno in questo periodo iniziano a proliferare sulla maggior parte delle riviste diete dimagranti di ogni tipo: da quelle più o meno equilibrate a quelle totalmente sbilanciate e quindi anche potenzialmente pericolose per la salute. Quando parliamo di diete, i rischi del “fai da te” sono davvero dietro l’angolo.
Nel caso in cui le diete proposte siano sbilanciate si rischiano vere e proprie carenze nutrizionali che possono comportare problemi di vario tipo: stanchezza generalizzata, difficoltà di concentrazione, perdita dei capelli, abbassamento delle difese immunitarie, riduzione della capacità riproduttiva ecc.., in altri casi in cui per es. si aumenti troppo la quota proteica (molte diete in voga sono iperproteiche) possono verificarsi affaticamento del fegato e dei reni, aumento degli acidi urici, acidosi tissutale.
L’elemento che solitamente accomuna tali diete, anche molto diverse fra di loro, è quello di essere comunque ipocaloriche: basate cioè sul semplice concetto di bilancio fra entrate e uscite.
Il tutto sembra funzionare con certezza matematica ma la realtà dei fatti non è così semplice, perché in mezzo a “entrate” e “uscite” c’è il metabolismo, determinato da una serie di complesse reazioni biochimiche a livello cellulare che determinano l’efficienza con la quale bruciamo l’energia contenuta nel cibo che consumiamo. Il metabolismo non è un valore definito una volta per tutte ma può variare nel tempo in relazione alle abitudini alimentari e all’attività fisica svolta. Le più recenti ricerche nel campo della nutrizione dimostrano come una impostazione del dimagrimento basata esclusivamente sulla riduzione calorica non dia risultati soddisfacenti nel lungo periodo.
Senza alcun dubbio esistono situazioni in cui la restrizione calorica è assolutamente necessaria, ma sicuramente non è una strategia da applicare in qualsiasi situazione. Chi ha intrapreso una classica dieta ipocalorica nella maggior parte dei casi ha riacquistato col tempo i chili perduti e in molti casi anche qualcuno in più.
Così il cosiddetto “effetto yo-yo” vanifica tutti i sacrifici e cancella i risultati faticosamente raggiunti. Cerchiamo di capire come è possibile questo fenomeno: durante il primo periodo di adozione di un regime ipocalorico, essendo l’introito calorico dei cibi consumati, minore del fabbisogno energetico dell’individuo, per pareggiare il bilancio viene utilizzata l’energia immagazzinata nel tessuto adiposo sottoforma di grasso: il peso scende e tutto sembra andare secondo le previsioni. Il nostro organismo però è stato programmato in maniera intelligente, nel passato sono stati molti i momenti critici in cui i nostri antenati hanno dovuto far fronte a carestie e quindi periodi prolungati di mancanza di cibo.
Così il nostro metabolismo ha elaborato una vera e propria strategia di “sopravvivenza” imparando ad abbassare i propri consumi come adattamento alla scarsità di cibo. Per questo motivo dopo un primo periodo di dieta in cui effettivamente si ha perdita di peso il metabolismo attua le strategie volte al risparmio energetico. Quindi il fabbisogno dell’organismo diminuisce fino ad equiparare l’introito energetico e la perdita di peso si arresta, come risultato la restrizione calorica attuata all’inizio della dieta non è più sufficiente per perdere peso. A questo punto la maggior parte delle persone, dopo qualche giorno di strenua resistenza, vista la mancanza di risultati, si arrende e torna a mangiare, se non proprio come prima, almeno un po’ di più rispetto alla dieta. L’amara sorpresa a questo punto è che il peso inizia ad aumentare, in poco tempo vengono recuperati i chili perduti e spesso anche qualcuno in più.
E’ come se il nostro “motore” avesse subito una riduzione della propria “cilindrata”, passando per es. dal consumo di 1800 kcal a 1400 kcal. Il ricorso a diete ipocaloriche ripetuto per anni, magari anche solo 1 o 2 volte all’anno, porta nel tempo ad abbassare il metabolismo in maniera davvero significativa. A tal proposito sono ricorrenti frasi del tipo: “mangio pochissimo ma non riesco a dimagrire”, “una volta appena mi mettevo a dieta dimagrivo subito, adesso non riesco a perdere neanche un etto”.
In questi casi, bisogna iniziare a mangiare di più, proprio per riportare il metabolismo al suo funzionamento originario. Mi succede spesso di dover incoraggiare le persone a mangiare più del loro standard e vederle finalmente perdere quei chili che non riuscivano a perdere da anni. Questo può sembrare un paradosso, perché siamo abituati a a pensare in termini di calorie.
Da queste considerazioni emerge che una dieta dimagrante deve essere formulata in modo tale da non far scattare gli allarmi metabolici che inducono al risparmio energetico e predispongono al recupero del peso perduto. Nella maggior parte dei casi riattivare il metabolismo è la chiave per una perdita di peso che mantiene i risultati nel tempo. Questo può essere attuato rispettando un rapporto equilibrato fra i vari nutrienti, distribuendo i pasti nel corso della giornata in modo da evitare lunghi periodi di digiuno e non dimenticando di incrementare l’attività fisica. Una dieta dimagrante dovrebbe inoltre essere in grado di soddisfare i gusti e le esigenze individuali per poter essere seguita senza sforzo, assolvendo anche alla funzione di educazione alimentare, deve poi essenzialmente essere personalizzata.
Dal proliferare su ogni tipo di rivista e su internet dei più svariati tipi di dieta, è ovvio dedurre che esista una larga parte di pubblico che non attribuisce grande importanza al fatto che una dieta sia personalizzata, che sia cioè formulata in maniera specifica sui propri fabbisogni, mentre invece è essenziale che una dieta sia formulata sulla base dei fabbisogni individuali.
Vorrei poi aggiungere che il mantenimento del peso corporeo è un problema serio, che non può essere affrontato solo in prossimità della bella stagione, ma dovrebbe essere affrontato durante tutto l’anno in una prospettiva più ampia, in cui l’alimentazione venga curata con più attenzione insieme all’adozione di uno stile di vita più attivo, nella consapevolezza che una corretta alimentazione è il più potente strumento che abbiamo a nostra disposizione per gestire il nostro benessere, oltre che il nostro peso. In termini generali dovremmo riscoprire un’alimentazione più naturale, scegliendo alimenti freschi e genuini, cereali integrali e rispettando la stagionalità per quanto riguarda il consumo di frutta e verdura.
Dovremmo allo stesso tempo limitare il più possibile gli alimenti di origine industriale, ricchi di grassi saturi, zuccheri semplici, coloranti e conservanti e i cereali raffinati. Dovremmo imparare a consumare ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno: ciò significa sviluppare la capacità di ascoltare il nostro corpo per comprendere i suoi effettivi bisogni; questo significa anche imparare a non cadere nell’errore di cercare nel cibo una sorta di compensazione a stati d’animo come l’ansia, la depressione, la noia ecc… . Recuperando un rapporto equilibrato con il cibo, sostituendo abitudini alimentari sbagliate con altre più salutari, acquisteremo una forma fisica migliore, un livello di energia superiore e uno stato d’animo più sereno.


Autore: Dr.ssa Gabriella CHITI - Biologa Nutrizionista Spec. in Genetica Medica

c/o Centro Ceder
Via Pammatone, 5 Genova
tel/fax 010 8608850
email: info@centrorisorsemediche.com
web: www.centrorisorsemediche.com


Mal di schiena e sciatica due problemi comuni

Autore: Dr. Fabio CONTA

OSteopata D. O. - Fisioterapista
Studio Ceder
Via Pammatone 5, Genova
Tel. 010.8608850

Iniziamo questo articolo utilizzando termini non specificamente scientifi­ci, per esprimere alcune considera­zioni su un problema che, prima o poi nella vita, può riguardare chiun­que. Infatti, per il solo fatto di alzarsi la mattina, vivere la giornata e ritornare nuovamente a letto per dormire la notte, si entra a far parte di quella moltitudine di persone, si stima circa 75/80%, che soffrono di mal di schiena. Sembra non esserci neanche molta differenza numerica, circa 50% a testa, fra persone che fanno un lavo­ro sedentario e persone che svolgo­no un lavoro molto attivo. Un episodio doloroso lombare deve essere prima inquadrato dalla figura del medico, in modo tale che si abbia la certezza che il sintomo dolo­roso non provenga da altre patologie. In seguito, una volta definito il qua-dro clinico e appurato che i sintomi riportino ad una lombalgia comune, si è nella condizione migliore per rivolgersi ad un osteopata o fisiotera­pista esperto in terapia manuale e meccanica.
Veniamo ora a parlare di ciò che si intende per lombalgia comune. Si tratta essenzialmente di un dolore nella zona lombo sacrale della colon-na vertebrale. Molto spesso la risonanza magnetica prescritta dallo specialista mette in evidenza segni di usura come artrosi, discopatia, protrusioni discali, legge-re scoliosi o trascurabili atipie. Se insieme alla lombalgia compaiono anche sintomi lungo l’arto inferiore fino al piede, si può parlare di sciati­ca, troppo frequentemente, però, associata alla possibile presenza di ernia discale, magari confermata da un esame specifico. Negli ultimi anni il medico tende a formulare una diagnosi basata di più su un equilibrato rapporto tra l’evi-denza clinica (sintomi presenti o pro­vocabili mediante appositi test) e l’in-dagine per immagini (RM; Tac; Rx; ecc), cercando di quantificare il reale peso di ciò che gli strumenti vedono rispetto all’aspetto sintomatologico doloroso del paziente.
Tutto ciò ci porta diretti ad alcune considerazioni degne di interesse per i professionisti del settore, ma, soprattutto, per i pazienti sofferenti che devono essere al centro del pro­blema.
Se è vero, come fino ad ora afferma­to, che un esame strumentale non possa necessariamente chiarire un problema di dolore lombare, indipen­dentemente dal fatto che metta in evidenza qualcosa, oppure, come spesso accade, nulla di rilevante, perchè insorge un dolore? Perchè spesso non passa nonostante le terapie fisiche effettuate (fisiotera­pia, terapie strumentali,ecc)?
La risposta a tali quesiti è tutt’altro che facile; tuttavia, una volta accerta­to che il disturbo non passa nono­stante le varie cure, può diventare interessante affrontare la questione da un punto di vista originale, basato anch’esso su criteri scientifici, classi­ficabili e riproducibili.
Ecco allora l’introduzione dello studio della Sindrome dolorosa meccanica; condizione che si manifesta tramite disturbi funzionali del sistema muscolo-scheletrico e viscerale che generano dolori differenti per fre­quenza e intensità, senza che alcun substrato organico permetta l’identifi-cazione delle cause mediche del pro­blema. Una valutazione accurata in campo funzionale permette di verifi­care alcuni dati clinici che sommati a test funzionali forniscono l’indicazio-ne corretta per effettuare un tratta­mento affidabile ed efficace.
A seconda che sia coinvolto il siste­ma muscolo-scheletrico o viscerale (da un punto di vista funzionale osteopatico), si possono praticare normalizzazioni articolari, fasciali, muscolari, mediante tecniche appro­priate, mirate, dolci, rispettose del paziente. Tali tecniche hanno lo scopo di liberare il corpo da fastidio­se restrizioni di movimento che pos­sono instaurare schemi lesionali fun­zionali riconoscibili e generare i sinto­mi dolorosi.
Se è possibile verificare che il distur­bo funzionale meccanico vertebrale o viscerale che causa una sindrome dolorosa è reversibile, anche il qua-dro clinico doloroso è reversibile. Occorre un’attenta valutazione del paziente per stabilire un corretto piano di trattamento. Per la maggior parte dei casi codifi­cabili con questo criterio l’intervento terapeutico si può esaurire in poche sedute manipolative.